Antonio Giorgio, Sinai e Golgota
Prefazione
Strano e affascinante il libro di Antonio Giorgio (“Jreneus” nella de-finizione spirituale dell’autore). Strano, perché è un testo completamente al di fuori di ogni collocazione disciplinare: né scientifico, né filosofico, riesce ad essere scientifico perché filosofico e, di converso, filosofico perché scientifico. L’autore si è formato come patologo e da patologo si era, in un precedente lavoro, occupato della morte sulla croce di Cristo, delle cause fisiche del decesso, ancora oggi oggetto di controversie tra gli studiosi. Il contatto diretto con i testi, con quel corpo di parole che custodisce il mistero del Dio crocefisso, lo hanno tuttavia spinto, dopo quella prima opera di carattere scientifico, a inoltrarsi in un sentiero che, intravisto nell’infan-zia e nell’adolescenza, era rimasto occultato, nel corso della giovinezza e dell’età matura, sotto l’effetto di una formazione prevalentemente razionalistica, nella quale Marx, Freud e Darwin facevano da dei tute-lari.
Il sentiero riscoperto dall’autore è quello del Cristo risorgente, della possibilità di una vita altra, che, più che proporsi come “speranza” (come nei teologi à la Moltmann), si impone come necessità di rove-sciare dalle fondamenta i paradigmi di pensiero entro cui si sono raccolte le certezze e le convinzioni della modernità, prima fra tutte la separa-zione tra l’esperienza del sacro e la pratica della conoscenza.
L’incontro col Cristo è l’inizio, per l’autore, di una vera e propria meta-morfosi, di una trasformazione che è l’assunzione progressiva di una nuova forma. La filosofia antica – ci ricorda Foucalt – riteneva che il soggetto, così come è, non è capace di verità: per raggiungere questa occorre che egli si trasformi completamente in se stesso, fino ad uscire fuori di sé e, addirittura, a perdersi – per trovarsi. E’ questo tipo di trasformazione che l’autore intraprende: il congegno della conoscenza moderna, la sua articolazione in procedure oggettive che dovrebbero garantire l’accesso alla verità, gli appare un semplice sostituto di un ac-cesso diverso e radicale, che consiste, appunto, in una trasfigurazione del soggetto e in una provvisoria perdita. Egli racconta la propria meta-morfosi, ed è all’insegna della metamorfosi che costruisce una rivoluzionaria lettura del dramma cristiano.
E’ qui che il testo di Antonio Giorgio Jreneus si fa affascinante. La tesi sostenuta nel libro è annunciata fin dall’inizio: « Gesù di Nàzaret, nato come figlio d’uomo, morì come figlio di Dio. E non nell’immaginazione dei suoi discepoli, ma nella realtà strutturante del desiderio» (pp.6-7). La vicenda narrata dai Vangeli è dunque quella di una metamorfosi, non di una “divinizzazione”, ma di una nuova nascita, la nascita dell’uomo spirituale. Il contenuto del messaggio di Cristo non è una promessa ma una ostensine: il “figlio d’uomo” è divenuto “figlio di Dio” e dunque ogni figlio di uomo ha la potenza generativa del figlio di Dio. Precisa l’autore che a compiere il passaggio non è la forza immaginativa ma “la realtà strutturanmte del desiderio”. Il desiderio è il seme naturale della nascita del divino, che della natura non è la negazione ma l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine. (Appare straordinario, fra parentesi, il modo in cui Jreneus legge il racconto naturalistico dell’evoluzione, metaforiz-zando costantemente i termini del linguaggio biologico senza negarne lo statuto scientifico e il significato letterale, fino a fondare una “scienza nuova”, fra biologia e biografia, fra lettera e metafora.)
La via della metamorfosi fu, per Cristo, quella dell’amore e del dolore: la stessa è per ogni uomo. «Il Maestro non forzò la natura: accettò di morire per amore: Maran àt ha: il Signore è venuto. Allora, duemila anni fa. Oggi io conosco il Maestro perché altri mi hanno parlato di Lui. Ma il mio incontro con Lui potrebbe ridursi ad un nome, ad un profeta, ad un rivoluzionario, se non si verificasse una breccia nella mia espe-rienza di vita che corre giù, fino alla profondità del mio essere, nell’Inco-nosciuto. Solo allora avviene il vivificante incontro e il Maestro risorge dall’abisso dei secoli e mi attrae a sé, come al centro dei centri. Una breccia determinata da un’esperienza d’amore graziato o di morte scam-pata” (p.340)
Ricco di scienza e di coscienza, portatore di una verità che è annuncio, Sinai e Golgotaè un libro autentico, uno dei rarissimi libri autentici che è dato di leggere al giorno d’oggi. E’ un esempio sorprendente di come la scrittura possa e debba farsi tramite di vita.
Giuliano Minichiello
Dipartimento di Scienze dell’educazione, Università degli Studi di Salerno