L’occhio osceno del folle. MAza (1988-2000), Maria Peruzzini

Cesare Maria Domenico RanieriL’occhio osceno del folle. MAza (1988-2000)

Prefazione

L’opera poetica di Cesare Maria Domenico Ranieri continua con un’altra composizione in versi, mostrando come il destino del poeta sia il viaggiare attraverso infiniti possibili linguaggi.

Viandante e artista insieme fa della scrittura lo specchio della sua realtà e la casa dalla quale stende il suo sguardo, per abitare il mondo, che inafferrabile gli resiste.

Registra in infiniti registri il suo pensiero, continua, con ferrea volontà a leggere ad infinitum il senso del mondo, e se non un senso comune a tutti, almeno il suo senso. Acuminate armi sono le sue parole: da profondo esploratore, instancabile nella sua ingenuità, ci consegna la sua storia poetica. L’accesso alla ‘poesia’ lo fortifica, lo rende più agguerrito: un menestrello armato e un infaticabile indagatore.

È una sorta di diario ‘in pubblico’ nel quale con disincantata sapienza e giovanile temerarietà squarcia il suo velo di Maya e descrive la sua ‘rappresentazione’ del mondo.

Meglio la poesia che un’autobiografia romanzata sembra dirci Ranieri, e intanto cerca di eludere tristezza e solitudine e scrivere nell’illusione che non è possibile che questo? O forse sceglie la poesia piuttosto che il silenzio, per non scivolare nel ‘nulla’?

Il linguaggio di Cesare Maria Domenico Ranieri assume tinte forti e intense, vitali e misteriose, e il suo spaesamento è la cifra di un nomadismo interiore. Multiforme e plurimo il senso dei suoi versi, si serve di tutte le forme: ossimori, metafore, parole e immagini reiterate e arrischiati assemblaggi. Costante è la passione e la tenacia di ‘nascere’ dalla scrittura come uomo ‘nuovo’: il poeta non demorde, questa è la sua autenticità; e sua è l’audacia di non assumere nessun habitus d’abitudini, nessuna chiusa forma mentis, nessun rigido calco.

Ranieri consapevole che la verità si cela, che le parole quasi mai sono chiare o veraci, che indossiamo delle maschere, ma che ad ognuno è data la possibilità di scoprirsi , di vagare di ‘sé’ in ‘sé’, sbriciolando via via fragili certezze, disancora il proprio ‘io’ da falsi ormeggi, e cede alla tentazione di lasciarsi accecare da fiamme che possono rivelargli un nuovo cammino.

Cesare Maria Domenico Ranieri avrebbe potuto scegliere forme narrative più rassicuranti anche per i suoi lettori: la storia o il romanzo. La prima, però, ricordando Aristotele, gli è estranea, «Lo storico espone ciò che è accaduto, il poeta ciò che può accadere, e ciò rende la poesia più significativa della storia, in quanto espone l’universale, al contrario della storia, che s’occupa del particolare.»[1] , il secondo gli è poco congeniale, perché metamorficamente lo nasconderebbe, « Diventa (…) il luogo dell’incontro-scontro dei giochi della vita, senza con ciò reclamare mai lo status di gioco dei giochi»[2].

Seguiamolo, timorosi e affascinati, aspettando nuove avventurose letture…

 

Maria Peruzzini


 

 

 

1- Aristotele, Poetica (IX, 1451b), Bari, Laterza, 1995

2- Valerio Giacoletto Papas, Filosofia e romanzo, Torino, Paravia, 1999

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