A Toronto, una domenica di novembre., Ernesto L’ Arab

Gianni BartocciA Toronto, una domenica di novembre

Das kabinett des Dr. Bartocci

Prefazione “Nessun vero artista scrive per simboli; ma ogni vera opera d’ arte esprime una (si esprime attraverso una) dimensione simbolica”. Così, Edmund Wilson. Potremmo applicare le parole del grande critico americano alle prose che Gianni Bartocci ha raccolto in questo volume.

I personaggi, accennati con pochi, rapidi tocchi, hanno scarse connotazioni realistiche. Conta l’ atmosfera, contano gli ambienti e la ‘fabula’, la stessa vicenda narrata, nel cui tessuto, al contrario, spiccano frammenti descrittivi di un iperrealismo allucinatorio, onirico.

Bartocci decostruisce la realtà; la notomizza e ne fa l’ anamnesi con scientifico spirito di osservazione; ma il risultato è quello surreale di un quadro di Magritte.

Lacerti del quotidiano; oggetti usuali, riprodotti con maniacale precisione acquisiscono, disancorati da riconoscibili coordinate spazio-temporali, significati nuovi ed inquietanti.

Si è detto di Magritte; pure, ci sembra cogliere, nell’ opera di Bartocci, esiti consonanti con l’ Espressionismo europeo. Le zoomate con le quali l’ io narrante si sofferma a descrivere la casa della bella Fastrada, nel racconto omonimo, trascorrono dal teleobbiettivo al grandangolo ‘spinto’, riproducendo con una voluta distorsione ottica gli oggetti canonici del salotto – i feticci della ‘normalità’ borghese- come è dato vedere nei film di Wiene.[1] L’ effetto è quantomai inquietante ed anticipa –perfetta, espressionistica corrispondenza fra stile e contenuto- l’ abisso di alienazione e di demenza che Edmondo, innamorato di Fastrada, scoprirà dietro quell’ apparente, scenografica normalità.

Si sente, in alcuni racconti, specie in quelli brevi, come «Sogni» -la brevità, il ‘frammentismo’ sono caratteristici, si sa, degli autori ‘vociani’, influenzati, o, perlomeno, in sintonia con l’ Espressionismo tedesco -, si avverte, dicevamo, un senso di sospensione, di attesa per l’ evento o per il personaggio risolutivo e chiarificatore che, tuttavia, come il personaggio beckettiano[2], non arriva mai, segnando la condanna dei protagonisti ad un’ immobilità tormentosa.

Grava, sui protagonisti di alcuni racconti, una condanna oscura ed indefinita, conseguenza di una colpa anch’ essa ignota.

L’ autore raggiunge, in questi casi, risultati di kafkiana, inquietante profondità.

Ma molteplici sono le eco letterarie che risuonano nel libro. «Gengaddu» è un vero e proprio ‘conte philosophique’. Un amaro e lucidissimo apologo sugli integralismi religiosi, di ieri e di oggi, messi alla berlina con voltairiana ironia.

L’ iperletterarietà è la cifra stilistica dello scrittore: il confronto con autori e generi i più disparati, non di rado in chiave di felice, personalissima parodìa.

«Teologia ecologica», ad esempio, ha la fulminea brevità del ‘midrash’, l’ aneddoto rabbinico che illustra le verità della Scrittura, ricorrendo all’ accostamento –un vero e proprio corto circuito razionale- sorprendente ed imprevedibile.[3]

Meraviglia –ci sia concesso dire: ‘mariniana meraviglia’- suscita anche la rielaborazione di una fiaba tratta da «Le mille e una notte». Si tratta dell’ episodio che ha come protagonista Alì Cogià, della cui vicenda, l’ autore ricostruisce ingegnosamente episodi che gli anonimi compilatori arabi immagina abbiano taciuto.

La letteratura di Gianni Bartocci presenta, a nostro avviso, affinità con quella corrente pittorica definita ‘post-moderna’ da Achille Bonito Oliva. Un movimento artistico sorto a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, che aveva, tra le sue peculiarità, un’ eccezionale padronanza della tecnica pittorica tradizionale, oltre alla dilezione per la ‘citazione’. L’ arte, secondo quanto teorizzato dallo stesso Bonito Oliva, mentore del gruppo di pittori, nell’ epoca della tecnica e della riproducibilità seriale, ha come suo compito primario –non esclusivo, certo, ma primario- quello di affermare, tautologicamente, che c’è, che esiste come qualcosa di diverso e di separato rispetto al tecnologico ed al riproducibile. Di qui: l’ alto magistero tecnico degli artefici ed il continuo riferimento di quest’ arte a sé stessa; a quella gloriosa tradizione passata che è vista dai ‘citazionisti’ come iperuranico, a-storico modello di bellezza assoluta, la quale si pone come l’ altro-da sé, rispetto all’ industria culturale, produttrice di merci artistiche di facile ed immediata riproducibilità e consumo.

Per concludere, vale la pena soffermarsi – per quanto sarà possibile fare nel breve spazio di una prefazione- sulla già citata novella: «Fastrada», la quale può essere, a nostro avviso, considerata una sorta di specimen dell’ intera raccolta.

Edmondo conosce Fastrada Zombei all’ università. Il nome di costei, impostole dal padre, ricalca quello di una figlia di Carlomagno. Il re dei Franchi è la grande passione della famiglia Zombei la quale rivive, sullo sfondo di una ordinaria –ed un po’ squallida- esistenza borghese, gli eventi grandiosi dell’ epopea carolingia. Edmondo si reca a casa Zombei, dopo avere accuratamente studiato la storia dei sovrani franchi. Scoprirà con ripugnanza che quella di casa Zombei, non è stravaganza, ma autentica follia. Il racconto, di chiara ascendenza pirandelliana[4], evidenzia il conflitto schizoide che si manifesta nell’ ‘homo tecnologicus’ –specie alla quale Edmondo appartiene. Un conflitto tra la razionalità scientifica, da un lato, la quale impedisce –Leopardi docet– che le passioni si manifestino pienamente in lui e ne smorza lo slancio vitale; ed il profondo bisogno di plenitudine emotiva ed esistenziale dall’ altro lato. Una pienezza che –sembra suggerire l’ autore- è ormai impossibile raggiungere, se non nel modo grottesco e caricaturale dell’ alienata ed infelice famiglia Zombei.

Non gli spazi dell’ Europa carolingia. Non le passioni a forti tinte sono, ormai, più alla portata dell’ ‘uomo massa’. Niente da scoprire. Più nessuna avventura da tentare, se non quella di circumnavigare, servendosi di un microscopio, le “isole di Langherans, …del pancreas! (…) : l’ arcipelago più affollato del mondo”.[5]

 

Ernesto L’ Arab


 

[1] R. Wiene, autore, nel 1919 del celebratissimo: Das kabinett des doktor Caligari, un caposaldo della cinematografia mondiale.

[2] Samuel Beckett, Waiting for Godot.

[3] Naturalmente, non escludiamo che, fra gli altri modelli dell’ italianista Bartocci, vi possano essere reminiscenze di certe novelle boccaccesche, incentrate sulla particolare felicità ed intelligenza della battuta risolutiva. Si pensi a «Chichibio e la gru», per fare un esempio. Il novellino è un altro illustre esempio di novelle, spesso di folgorante brevità.

[4] E’ evidente il riferimento al dramma Enrico IV, considerato, tra l’ altro, uno lavori più espressionistici del drammaturgo siciliano. Si veda, in proposito:LEONE DE CASTRIS A., Storia di Pirandello, Roma-Bari, Laterza, 1971.

[5] Fastrada. Nell’ economia del racconto è importante questa duplice punto di vista: macroscopico vsmicroscopico.

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